L’ombra dell’astensione si allunga sul prossimo referendum: l’Italia valuta se considerarla un’opportunità o un’occasione persa?
Quando un cittadino sceglie di votare “Sì” o “No” in un referendum abrogativo in Italia, sta esercitando attivamente il suo diritto di influenzare una legge esistente. Il voto “Sì” mira ad abrogare, cioè ad annullare, la legge o parte di essa che è oggetto del quesito referendario. Il voto “No”, al contrario, esprime la volontà di mantenere la legge in vigore così com’è. Indipendentemente dalla posizione, recarsi alle urne e esprimere un voto valido significa partecipare attivamente alla decisione sul futuro di quella normativa. Questo voto, inoltre, contribuisce al raggiungimento del quorum, ovvero la soglia minima di partecipazione necessaria affinché il referendum sia considerato valido.

L’astensione dal voto in un referendum abrogativo, a differenza del voto esplicito, ha un impatto spesso decisivo. In Italia, per la maggior parte dei referendum abrogativi, è richiesto un quorum di partecipazione: devono recarsi alle urne almeno il 50% più uno degli aventi diritto al voto affinché il risultato sia valido. Se questo quorum non viene raggiunto, il referendum fallisce, indipendentemente dall’esito dei voti “Sì” o “No” espressi. Pertanto, chi si astiene contribuisce a non raggiungere questa soglia, favorendo di fatto il mantenimento della legge in vigore. L’astensione può essere una scelta consapevole, volta a invalidare il referendum, o un segno di disinteresse, ma in entrambi i casi il suo peso si misura proprio sulla percentuale di affluenza, determinando la validità stessa della consultazione popolare.
Astensione o voto, le regole della tornata del referendum: qualche chiarimento
