Erin Patterson condannata ad almeno 33 anni. Il suo legale cerca “errori legali” per ribaltare il verdetto del Beef Wellington avvelenato
La sentenza di condanna che l’ha consegnata alla storia criminale australiana come la “killer dei funghi” non è l’ultimo atto del dramma. Erin Patterson, l’autrice del letale Beef Wellington avvelenato, ha annunciato l’intenzione di presentare ricorso contro la condanna all’ergastolo. Una mossa shock che riapre il caso che ha sconvolto l’Australia e attirato l’attenzione globale.
La notizia dell’appello è stata confermata dal suo legale in un breve procedimento amministrativo a Melbourne, senza specificare immediatamente i motivi legali del ricorso. Il tentativo di Patterson di ribaltare il verdetto arriva dopo una condanna devastante.
Il mese scorso, la donna è stata condannata all’ergastolo per l’omicidio di tre parenti – i suoceri Don e Gail Patterson e la sorella di Gail, Heather Wilkinson – e il tentato omicidio del pastore Ian Wilkinson, sopravvissuto a malapena al coma.
La pena inflitta è una delle più lunghe mai comminate a una donna in Australia. Patterson, che ha appena compiuto 51 anni, dovrà scontare un minimo di 33 anni prima di poter chiedere la libertà vigilata. In altre parole, l’autrice del massacro culinario raggiungerà i suoi ottant’anni prima che le venga concessa la minima speranza di uscire di prigione.
Nonostante la donna abbia sempre strenuamente sostenuto la sua innocenza, affermando che il pasto disastroso sia stato un fatale incidente, la giuria l’ha trovata colpevole su tutti i fronti. L’appello non è automatico.
Il team legale dovrà dimostrare in modo convincente alla corte dello Stato di Victoria l’esistenza di errori legali procedurali o sostanziali che giustifichino la revisione della sentenza. A rendere la sfida legale ancora più ardua è la brutale condanna morale espressa dal giudice Christopher Beale.
Il giudice ha classificato i crimini di Patterson nella “peggiore categoria” possibile, parlando apertamente di un “elaborato insabbiamento”. Ma il dettaglio più agghiacciante è la totale “mancanza di pietà” dimostrata dall’imputata nei giorni successivi al pranzo, mentre le sue vittime lottavano disperatamente per la vita in ospedale.
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