Ne esce umiliata la sinistra dal weekend dedicato al Referendum. In particolare gli italiani dicono no alla cittadinanza facile.
Il mancato raggiungimento del quorum nei referendum sul lavoro promossi dalla Cgil, sostenuti dal Partito Democratico e da altre forze del cosiddetto “campo largo”, ha segnato una battuta d’arresto politica evidente. Con un’affluenza ferma poco sopra il 30%, la consultazione ha rivelato una profonda disconnessione tra le forze promotrici e l’elettorato.
Se da un lato Maurizio Landini ammette apertamente il fallimento dell’obiettivo di cambiare le leggi sul lavoro, dall’altro Elly Schlein cerca di valorizzare il dato dei 14 milioni di votanti, ma il risultato resta una sconfitta sul piano politico e comunicativo. L’astensione diffusa, anche nelle roccaforti rosse, ha aperto una crepa nel centrosinistra.

La destra, rafforzata dall’esito referendario, non nasconde la soddisfazione: per Giorgia Meloni e la sua maggioranza il risultato conferma l’assenza di un’alternativa credibile. Intanto, nel Pd si apre una riflessione sempre più urgente sul futuro della leadership di Schlein, con esponenti interni come Stefano Bonaccini che chiedono un confronto aperto sulle strategie. Il centro, rappresentato da Renzi e Calenda, attacca frontalmente la linea ideologica del Pd, auspicando la nascita di un’area riformista autonoma capace di sfidare la destra sui temi concreti come stipendi, sanità e giovani. La consultazione referendaria, invece di rafforzare l’opposizione, sembra aver acuito le sue divisioni.
Il Referendum 2025 ha scosso il Pd: una debacle di non poco conto
Come si direbbe anche in ambito sportivo, ciò che alla fine conta davvero è il risultato. E il verdetto uscito dalle urne è stato inequivocabile: un clamoroso flop. Il referendum sul lavoro, fortemente voluto dalla Cgil e sostenuto da gran parte delle forze progressiste, non ha raggiunto il quorum, con un’affluenza che si è fermata poco sopra il 30%. Si tratta di una vera e propria debacle per chi puntava a lanciare un segnale forte al governo Meloni, e che invece si è ritrovato con una partecipazione fiacca anche in quelle regioni che storicamente rappresentano le roccaforti della sinistra. Una sconfitta netta, resa ancor più evidente dalla frammentazione del messaggio politico e dalla mancanza di una visione unitaria e concreta. L’assenza di un progetto convincente ha pesato, mentre il linguaggio ideologico e la scarsa capacità di mobilitazione hanno fatto il resto.

Se sul lavoro il colpo è stato pesante, ancora più disarmante è stato l’esito del quesito sulla cittadinanza ai migranti, che ha registrato un numero di voti contrari sorprendentemente alto, vicino al 40%. Di fronte a un simile esito, la sinistra è apparsa in evidente difficoltà e ha iniziato a cercare appigli, enfatizzando i risultati parziali e tentando di trarre letture ottimistiche da un quadro oggettivamente negativo. Ma a nulla sono valsi i tentativi di minimizzare il fallimento: la realtà è che la consultazione si è trasformata, suo malgrado, in un assist involontario alla destra di governo. In questo contesto, anche l’unità sindacale, già messa a dura prova negli ultimi anni, sembra essersi incrinata ulteriormente. L’iniziativa referendaria, che avrebbe dovuto rappresentare un momento di compattezza e rilancio, ha invece lasciato in eredità divisioni interne.