Salva la vita di una donna, e ora rischia una denuncia: un chirurgo è nei guai

Un chirurgo dell’Ospedale Umberto I di Roma è nei guai: è intervenuto d’urgenza, salvando la vita di una donna. Ma ora rischia una denuncia per violenza privata

Incredibile. ma vero: un chirurgo, che si è trovato ad operare una donna ricoverata d’urgenza e in fin di vita, è riuscito, con un intervento mirato, a risolvere il problema e a scongiurare il peggio. Ha aperto le porte della sua sala operatoria alla donna, le ha salvato la vita a tutti gli effetti: e proprio per questo motivo, ora rischia una denuncia.

chirurgo pronto ad un intervento con sacche di plasma
Salva la vita di una donna, e ora rischia una denuncia: un chirurgo è nei guai – cityrumors.it

L’incredibile vicenda è accaduta a Roma, all’Ospedale Umberto I. Nei giorni di festa, un chirurgo si è ritrovato ad avere a che fare con una paziente, arrivata in ospedale in fin di vita a causa di seri problemi legati al bypass gastrico. La situazione comportava la necessità di un pronto intervento. Il chirurgo non ci ha pensato due volte e con prontezza ha risolto la situazione. Ma per salvare la vita della paziente ha dovuto prendere una decisione complicata.

Trasfusione su una Testimone di Geova: il chirurgo rischia una denuncia

Effettuare una trasfusione di sangue. La quarantenne infatti era una Testimone di Geova. Secondo quanto riportato, l’intervento è stato realizzato nonostante l’esplicito rifiuto della donna a ricevere del sangue. Questo è dettato da convinzioni religiose. I Testimoni di Geova rifiutano le trasfusioni di sangue intero e dei suoi quattro componenti principali, anche in situazioni di pericolo di vita. Una presa di posizione legata a motivazioni storiche e religiose, che si basano sulla loro interpretazione di alcuni passi biblici  che comandano di “astenersi dal sangue”, considerato fonte di vita e sacro agli occhi di Dio.

Un chirurgo
Trasfusione su una Testimone di Geova: il chirurgo rischia una denuncia – cityrumors.it

Generalmente i  Testimoni di Geova portano con loro un documento chiamato DPA (Durable Power of Attorney), noto a tutti con il termine di “cartellino del sangue”, che esprime legalmente la loro volontà di non ricevere trasfusioni anche in caso di incoscienza. Il chirurgo che si è trovato a prendere una decisione, ha consultato il Pm di turno, il quale ha confermato i rischi legali di un interventio di questo tipo. Incurante degli eventuali problemi ai quali sarebbe andato incontro, l’uomo ha deciso ugualmente di intervenire: ha operato la donna e le ha salvato la vita.

I precedenti: da Termini Imerese a Tivoli, le decisioni dei Tribunali

L’intervento ha infatti avuto successo. Il Medico, decidendo di rimanere fedele al Giuramento di Ippocrate (“Il medico promette di agire esclusivamente per il vantaggio dei malati, mettendo la loro salute sopra ogni altro interesse”) e pur sapendo di andare incontro a problemi legali. Qualora la donna dovesse presentare una denuncia, andrebbe incontro ad un processo e sarebbe indagato per violenza privata. La Legge 219/2017 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento), spiega nel dettaglio che: “Nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito senza il consenso libero e informato della persona”, e che il medico “è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente”. Allo stesso tempo il medico “se agisce contro questa volontà, può essere accusato di violenza privata o lesioni personali dolose (anche se l’intento era benevolo), poiché ha violato l’integrità psichica e la libertà morale del paziente”.

Aula di Tribunale
I precedenti: da Termini Imerese a Tivoli, le decisioni dei Tribunali  – cityrumors.it
In Italia si sono già registrati dei casi simili: nel 2018 a Termini Imerese una 24enne (Testimone di Geova) fu ricoverata per una complicazione post-operatoria. Nonostante il suo dissenso esplicito e cosciente, il medico dispose una trasfusione forzata. La ragazza denunciò il chirurgo e un tribunale le diede ragione, stabilendo che non si poteva invocare lo “stato di necessità” (Art. 54 c.p.) se il paziente è capace di intendere e volere e ha espresso un rifiuto chiaro. Il medico fu condannato per violenza privata ad  un mese di reclusione.
Situazione simile vissuta a Tivoli nel 2020: una donna, in coma farmacologico, fu salvata da un intervento chirurgico, nonostante avesse espresso la volontà di non ricevere trasfusioni. La Corte, al termine di un lungo processo, chiarì che il medico non può presumere che, davanti al pericolo di morte, il paziente cambierebbe idea. Se il dissenso è “attuale, informato e specifico”, il medico deve astenersi, e se interviene commette un illecito. Ecco perchè il chirurgo romano ora rischia grosso.
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