TikTok è un’“arma letale”: l’allarme che l’Occidente non può più ignorare – Video

TikTok non è più soltanto un social network. È una potente macchina cognitiva, capace di influenzare ciò che pensiamo, come ci comportiamo e persino cosa desideriamo.

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TikTok è un arma cognitiva

Per molti analisti, il successo planetario della piattaforma cinese non è frutto del caso, ma il risultato di un meccanismo psicologico costruito per modellare la mente collettiva.
Oggi, parlare di TikTok significa affrontare un tema che va oltre l’intrattenimento: quello del controllo cognitivo globale.

Un algoritmo che conosce l’utente meglio di se stesso

Il segreto del dominio di TikTok è il suo algoritmo.
Ogni interazione, ogni secondo di visione, ogni scroll contribuisce a costruire un profilo estremamente dettagliato dell’utente.
Il sistema impara in pochi minuti cosa ti cattura, cosa ti fa arrabbiare, cosa ti fa restare online. Poi usa queste informazioni per offrirti contenuti su misura, in un ciclo continuo che stimola dopamina e dipendenza.

È il motivo per cui milioni di persone, soprattutto adolescenti, finiscono per trascorrere ore davanti allo schermo senza accorgersene, in una spirale che modifica attenzione, emozioni e percezione del mondo.

Dalla privacy alla manipolazione cognitiva

Se fino a pochi anni fa la preoccupazione principale riguardava la tutela dei dati personali, oggi la questione è più profonda: la manipolazione mentale.
Diversi studi hanno dimostrato che TikTok può spingere gli utenti — in particolare i minori — verso contenuti estremi, autolesionisti o disinformativi nel giro di pochi minuti.
La logica dell’algoritmo non è educare, ma mantenere l’attenzione, anche a costo di alimentare ansia, insicurezza o polarizzazione sociale.

In questo senso, TikTok non è semplicemente un social, ma un ecosistema che plasma convinzioni e comportamenti.

Il paradosso: vietato dove è nato

Eppure, mentre conquista l’Occidente, TikTok è vietato o limitato proprio in alcuni dei Paesi più popolosi del mondo.
In Cina — dove è stato creato — non esiste TikTok, ma una versione alternativa, Douyin, regolata da rigide norme statali, con limiti d’età, orari di utilizzo e contenuti prevalentemente educativi.
In India, l’app è stata bandita nel 2020 per motivi di sicurezza nazionale. Nel Nepal, il divieto è arrivato nel 2023, con la motivazione di “proteggere l’ordine sociale e la salute mentale dei giovani”.

Ascolta le parole di Matteo Gracis:

Questi tre Paesi rappresentano circa 2 miliardi di persone, cioè il 25% della popolazione mondiale.
In altre parole, un quarto dell’umanità vive in Stati che hanno già scelto di rinunciare a TikTok.
Un dato che dovrebbe far riflettere l’Occidente, dove invece il social continua a crescere senza limiti.

L’Occidente corre ai ripari

Negli Stati Uniti, il Congresso valuta da tempo un possibile divieto nazionale.
In Europa, Bruxelles ha vietato TikTok sui dispositivi istituzionali e ha avviato un’indagine sull’impatto dell’app sui minori e sulla sicurezza dei dati.
Anche in Italia cresce la consapevolezza dei rischi: l’Autorità garante per la privacy ha più volte richiamato la piattaforma per l’uso improprio dei dati dei minori.

Il sospetto — condiviso da molti esperti di cybersecurity — è che TikTok possa diventare uno strumento di influenza geopolitica, in grado di orientare opinioni e valori sociali attraverso un flusso apparentemente innocuo di video virali.

Educare per difendersi: la nuova sfida cognitiva

Non basta vietare un’app per risolvere il problema.
La vera sfida del XXI secolo è educare le nuove generazioni a riconoscere la manipolazione digitale, a capire come funzionano gli algoritmi e a sviluppare pensiero critico.
Solo una cittadinanza digitale consapevole può difendersi da strumenti così potenti e invisibili.

L’arma più efficace contro TikTok, e contro qualunque forma di ingegneria cognitiva, è la conoscenza.

In definitiva

TikTok non è solo una moda. È una piattaforma che, dietro il velo dell’intrattenimento, mette alla prova i confini tra libertà, sicurezza e manipolazione.
Mentre una parte del mondo sceglie di spegnerla, l’Occidente continua a scrollare.

Ma la verità è che ogni video, ogni trend, ogni “mi piace” contribuisce a un sistema che non si limita a informare: forma le menti e orienta il pensiero collettivo.
Ed è per questo che definirlo un’“arma cognitiva” non è più un’esagerazione giornalistica, ma una lucida constatazione.
La domanda ora non è se TikTok sia pericoloso, ma quanto a lungo l’Occidente potrà fingere di non saperlo.

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