Petroliera affondata per un maltempo che non ha lasciato scampo (e per incuria del governo): tragedia umana e ambientale in mare
Un mare nero di tempesta, il vento che sferza le onde e due petroliere che cedono. Sembra quasi spezzarsi, come gusci troppo fragili. È un vero disastro ambientale e umano quello che si è consumato nello Stretto di Kerch, a pochi chilometri dalle coste della Crimea. La Volgoneft-212 è stata travolta dalla furia del Mar Nero, affondando sotto colpi che non hanno lasciato scampo. L’imbarcazione era carica di ‘mazut’, un combustibile pesante e a basso costo.
Un marinaio ha perso la vita, 13 uomini sono stati tratti in salvo. Per quanto riguarda il resto dell’equipaggio, in totale 29 persone, ancora rappresentano una variabile drammatica in una vicenda che unisce tragedia umana e allarme ambientale.
La Volgoneft-212 trasportava più di quattro tonnellate di olio combustibile quando si è squarciata a prua, riversando in mare una parte del suo carico. Non è chiaro quanto greggio fosse a bordo della Volgoneft-239, ma il risultato non cambia: una macchia di petrolio di proporzioni inquietanti si sta già allargando nelle acque dello stretto, minacciando l’ecosistema marino.
Tra l’altro, non è nemmeno la prima volta che Kerch si trova al centro di una catastrofe di questo genere. Nel 2007 era accaduto a un’altra petroliera della stessa compagnia. Era la Volgoneft-139, che si era spezzata in due nello stesso tratto di mare, riversando oltre mille tonnellate di petrolio. Il Mar Nero impiegò mesi a smaltire l’impatto di quel disastro, e ora si teme che la storia possa ripetersi.
Il presidente russo Vladimir Putin ha immediatamente ordinato l’attivazione di un gruppo di lavoro d’emergenza. Alla guida, il vicepremier Vitaly Savelev. I soccorritori stanno cercando di salvare i membri dell’equipaggio ancora dispersi, mentre squadre specializzate sono già al lavoro per contenere l’inquinamento. Ma la situazione è critica.
Le autorità russe hanno avviato un’indagine per accertare le cause dell’incidente e ipotizzano negligenze penali. Tuttavia, la vera domanda riguarda le condizioni in cui queste petroliere operano. Proprio la compagnia Volgoneft, già coinvolta in disastri precedenti, rappresenta l’emblema di un sistema che sembra ignorare i segnali d’allarme, navigando pericolosamente ai limiti della sicurezza.
Le immagini diffuse raccontano un mare in agonia: la scia nera del petrolio si espande lentamente, alimentata da correnti che trasportano veleno verso coste già fragili. Più che un incidente, quello dello Stretto di Kerch appare come un disastro scritto e considerato come “effetto collaterale calcolato”. Il risultato di infrastrutture marittime datate, di standard di sicurezza insufficienti, di una gestione superficiale.
E se oggi si contano i danni, l’impatto reale emergerà nei prossimi mesi, quando la vita marina e le economie locali inizieranno a fare i conti con questa nuova emergenza.
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