Giappone, inferno in cava: investe e uccide il supervisore con un camion da 72 tonnellate, condannato a 23 anni
Una tragedia agghiacciante. Un’esplosione di “rabbia repressa” (definita testualmente così in sede di condanna) culminata in un omicidio brutale. La sentenza è stata esemplare, nella sezione di Kokura del tribunale distrettuale di Fukuoka, in Giappone. Ben 23 anni di carcere per un uomo di 62 anni, colpevole di aver ucciso il suo supervisore di 51 anni investendolo con un camion.

L’episodio è avvenuto in una cava nella città di Kitakyushu lo scorso ottobre. Un atto di violenza inaudita che ha sconvolto la comunità. La dinamica dei fatti, così come riportato da NTV, è da incubo.
Hiroyuki Takahashi, il condannato, ha ucciso Yuji Yamazaki investendolo con un autocarro con cassone ribaltabile da ben 72 tonnellate. Il tutto è accaduto intorno alle 14:30 del 4 ottobre, all’interno della cava nel quartiere di Kokuraminami. Una scena da film dell’orrore, con un mezzo pesante trasformato in un’arma mortale.
Ma la follia di Takahashi non si è fermata qui. Il tribunale lo ha condannato anche per aver tentato di investire e uccidere altri due colleghi, presenti sul posto. Nello specifico, un altro operaio e il responsabile del cantiere. Fortunatamente, in entrambi i casi, nessuno dei due è rimasto ferito, scampando per un soffio alla furia omicida dell’uomo.
Rabbia repressa e nessuna premeditazione: la difesa e la sentenza
Il team di difesa di Takahashi aveva tentato di alleggerire la posizione del loro assistito, chiedendo una condanna più mite, di 13 anni di carcere. La loro tesi principale? Il crimine non sarebbe stato pianificato, ma frutto di un raptus improvviso.

Tuttavia, il giudice presidente Junpei Miyoshi, nel pronunciare la sentenza giovedì, ha smontato parzialmente questa linea difensiva, pur riconoscendo la natura della rabbia. “Il movente del crimine sembrava essere l’esplosione della rabbia repressa di Takahashi nei confronti dei suoi colleghi“, ha affermato il giudice.
Ma la rabbia, per quanto profonda, non può giustificare un atto così efferato. “C’è una grande differenza tra l’insoddisfazione dell’imputato nei confronti del suo ambiente di lavoro e il ricorso all’omicidio“, ha chiosato il giudice, sottolineando la gravità del gesto.
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Una sentenza che manda un messaggio chiaro: la giustizia giapponese non tollera la violenza sul luogo di lavoro, soprattutto quando assume forme così estreme. E la vita di Yuji Yamazaki, spezzata in maniera così brutale, trova almeno in parte giustizia in questa condanna severa.