Residente da 40 anni negli Stati Uniti, arrestato per una vecchia multa per droga. La famiglia denuncia le condizioni di detenzione “disumane”
Quarant’anni di vita americana spazzati via per una multa di 100 dollari risalente a un passato lontanissimo. Owen Ramsingh, un uomo nato ad Amersfoort ma portato negli Stati Uniti dalla madre all’età di cinque anni, si trova ora recluso in un centro di detenzione per immigrati, arrestato dall’ICE (Immigration and Customs Enforcement) al suo rientro da un viaggio in Europa.
La sua colpa, secondo le autorità? Una condanna per droga risalente al 1998, quando aveva appena 17 anni, un’accusa che riguardava meno di 28 grammi di marijuana. L’arresto, avvenuto il 27 settembre all’aeroporto di Chicago, ha trasformato la vita di Ramsingh – titolare di una Green Card e residente legale negli USA per quasi quarant’anni – in un incubo di espulsione.
Nonostante Ramsingh fosse formalmente registrato come “figlio di residenti americani”, e nonostante la sua condanna del 1998 per possesso di marijuana fosse stata punita con una multa irrisoria di 100 dollari (e una successiva nel 2011 per lo stesso reato), il suo status è crollato sotto il peso della stretta politica.
“Questo criminale straniero è in custodia dell’ICE in attesa della procedura di espulsione,” ha dichiarato il Dipartimento di Sicurezza Nazionale in un comunicato agghiacciante.
Il messaggio è chiaro e si collega direttamente all’inasprimento delle restrizioni sotto l’amministrazione Trump: “Un permesso di soggiorno è un privilegio, non un diritto. Il nostro governo ha il potere di revocarlo se la legge viene violata.”
La famiglia di Ramsingh è in profonda crisi. L’uomo è il capofamiglia e il suo improvviso arresto ha tagliato la loro unica fonte di reddito. La moglie, Diana, ha lanciato una pagina di raccolta fondi per coprire le spese legali e di sostentamento, obiettivo quasi raggiunto grazie alla solidarietà.
Dalle brevi telefonate consentite (al costo di 52 dollari al trimestre), Ramsingh ha raccontato alla moglie le condizioni della sua detenzione, definite “disumane“. “È uno spazio di 9 metri per 9, con 75 persone dentro. Ci sono venti sedie e nessun letto,” ha denunciato.
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Diana Ramsingh ha tuonato contro la brutalità del sistema: “Una scelta fatta 30 anni fa non giustifica il trattamento disumano che Owen sta subendo ora. I centri di detenzione dell’ICE non sono un posto per le persone. Sono progettati per privarle della loro dignità. Owen non è un numero, non è un record. È nostro fratello, la nostra famiglia.” Il dramma personale di Ramsingh è il simbolo di una macchina espulsiva che, nei primi giorni di presidenza Trump, ha già arrestato 66.000 persone.
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