A Città del Messico 55 anni fa quel pugno chiuso contro il razzismo: una battaglia ancora da vincere

Il 16 ottobre 1968 Tommie Smith e John Carlos mostravano il pugno chiuso sul podio olimpico di Città del Messico dopo la finale dei 200 metri per difendere i diritti dei neri d’America

Le Olimpiadi da sempre rappresentano la massima espressione dello sport, gli atleti di tutte le nazioni del mondo hanno visto la possibile partecipazione alla grande manifestazione come uno dei traguardi massimi della loro carriera. Un simbolo di uguaglianza e fratellanza, che un tempo riusciva anche a fermare le guerre per il tempo necessario a far svolgere i giochi. Poi nel tempo anche l’Olimpiade è diventata simbolo di ricatto politico e testimone di episodi anche molto gravi.

Il pugno alzato in segno di protesta – Cityrumors-it –

 

Ecco perchè alcuni gesti, alcuni personaggi simbolo, sono passati attraverso la storia non solo per la semplice prestazione sportiva, ma anche per il valore simbolico che in quel momento ha rappresentato quel gesto, quella bandiera, quell’abbraccio. Ad esempio resta indimenticabile quel doppio pugno guantato di nero, alzato nella notte di Città del Messico dai due velocisti americani sul podio al momento della premiazione.

Una gara leggendaria

Era il 16 ottobre 1968. Stadio Olimpico di Città del Messico. Finale dei 200 metri. Le note dell’inno americano risuonavano nello stadi per Tommie Smith e John Carlos sul podio, con quel pugno alzato in segno di protesta. Dietro quel gesto c’era la battaglia per i diritti civili degli afroamericani che ancora oggi, a distanza di 55 anni, non è ancora conclusa e alcuni fatti di cronaca recente hanno prepotentemente riportato in evidenza. Quelli erano anni duri e difficili sul fronte dei diritti delle minoranze in America, soltanto sei mesi prima, infatti, l’uccisione Martin Luther King fece scoppiare la rivolta in oltre 100 città americane. Quella gara, la “regina” delle gare di atletica, aveva già avuto un esito speciale. Smith e Carlos, i due velocisti statunitensi di colore, arrivano infatti primo e terzo nella finale olimpica dei 200 metri piani. Con Smith che riesce anche a stabilire il nuovo record del mondo con 19,83 secondi. Tra di loro si piazza l’australiano Peter Norman.  Durante la premiazione ufficiale, i due velocisti americani ricevono le rispettive medaglie di oro e di bronzo. E, dopo averle messe al collo, i due atleti si voltano verso la bandiera degli Stati Uniti come sempre al momento dell’inno, abbassano la testa e alzano al cielo il pugno chiuso, avvolto da un guanto nero.

La statua dedicata ai due velocisti – Cityrumors.it –

 

La potenza di un gesto

Un gesto diventato iconico, ma che immediatamente scatenò un putiferio di reazioni. Il Comitato Olimpico Internazionale chiese subito l’esclusione di Smith e Carlos dal villaggio olimpico e la loro sospensione dalla squadra americana, per aver fatto una manifestazione politica alle Olimpiadi. Al loro ritorno negli Stati Uniti, i due atleti subirono estese critiche, fino a ricevere minacce e intimidazioni. Anche Norman ricevette insulti e minacce tornato in Australia, e secondo qualcuno venne escluso dalle Olimpiadi del 1972 per via della protesta. Oggi le cose non sembrano cambiate più di tanto e le recenti proteste nello sport professionistico americano del movimento Black Lives Matter sono li a testimoniarlo. I due velocisti americani non hanno più avuto modo di correre per la federazione atletica americana e hanno passato gli anni a cercare di riabilitarsi davanti a un’opinione pubblica restia a capire i motivi del gesto e per questo ancora purtroppo saldamente validi. Un gesto comunque tra i più potenti mai fatti nello sport tanto da diventare, nel 2005, un monumento nel campus universitario San Josè State University. L’opera è stata dedicata ai due campioni statunitensi da un’associazione studentesca e sorge a pochi metri dalla biblioteca dell’università intitolata, non a caso, a Martin Luther King.

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