Una nuova speranza arriva da uno studio americano e da un poliuretano capace di autodistruggersi da solo una volta buttato
La ricerca non si ferma mai. Questa volta le buone notizie arrivano da uno dei fronti più caldi degli ultimi anni: la speranza di risolvere il grandissimo problema dell’inquinamento da plastica. Materiale versatile e utilizzato per fare praticamente tutto, per anni è stata utilizzata senza preoccuparsi di come venisse smaltita a fine uso, rappresenta ora un grande problema se smaltita in modo errato.

L’inquinamento da plastica colpisce il mare più di ogni altro ambiente: questo materiale sintetico, infatti, si deposita nei fiumi, che trasportano a loro volta i rifiuti negli oceani, dove tendono poi a formarsi delle vere e proprie isole galleggianti di plastica. L’ingerimento da parte degli animali marini, come ad esempio le tartarughe, è molto frequente, e ne causa spesso problemi di salute che possono portare alla morte.
Una nuova speranza per la plastica: la grande novità
Adesso, però, una scoperta dell’Università di San Diego, in California, contenuta in uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature Communications, regala grandi speranze sul suo possibile smaltimento. I ricercatori infatti sono riusciti a creare un nuovo tipo di materiale resistente, capace di autodistruggersi una volta finito in discarica, introducendo nella sua struttura spore di batteri “mangiaplastica”, modificati geneticamente. La chiave di volta è stata quindi quella di incorporare nella plastica stessa il meccanismo per la sua biodegradazione. Spore batteriche modificate geneticamente del Bacillus subtilis, usato di solito come additivo nel cibo e probiotico, in modo che siano in grado di resistere alle alte temperature necessarie per produrre la plastica, perché il calore elevato ucciderebbe la maggior parte delle spore. Ricordiamo che il TPU viene largamente utilizzato per realizzare calzature, tappetini, cuscini e memory foam, è quindi uno dei polimeri più utilizzati nel settore industriale.

Si auto decompone
A differenza di altri tipi di plastica che si autodigeriscono, questo materiale comincia a decomporsi quando entra in contatto con i reagenti chimici del compost presenti nel terreno, consentendo di utilizzarlo senza intoppi durante il proprio ciclo di vita. Durante la fase di studio i batteri hanno decomposto oltre il 90% del materiale entro cinque mesi dal sotterramento nel compost. Un processo di biodegradazione straordinariamente rapido per un materiale che normalmente richiede decenni o secoli per decomporsi. “Il nostro processo rende i materiali più robusti, quindi ne prolunga la vita utile”, ha affermato il co-ricercatore Jon Pokorski citato dalla Bbc. “E poi, una volta terminato, saremo in grado di eliminarlo dall’ambiente, indipendentemente da come verrà smaltito»”.
Gli scienziati, inoltre, hanno sottolineato che l’incorporazione di queste spore batteriche nel poliuretano termoplastico non lo indebolisce, anzi. I test hanno dimostrato che la plastica realizzata in questo modo è risultata fino al 37% più resistente e ha mostrato una resistenza alla trazione fino al 30% superiore rispetto al poliuretano classico. Non tutti sono però ottimisti “ Bisogna stare attenti con possibili soluzioni di questo tipo”, dichiara ancora alla Bbc Steve Fletcher, direttore del Revolution Plastics Institute dell’Università di Portsmouth. “Potrebbero dare l’impressione che dovremmo preoccuparci meno dell’inquinamento da plastica perché ogni plastica dispersa nell’ambiente si degraderà velocemente e, idealmente, in modo sicuro. Ma, per la grande maggioranza della plastica, non è questo il caso”.





