L’e-commerce sta uccidendo il commercio su strada: chiusi 10mila negozi di abbigliamento in 5 anni

L’intero settore del commercio non si è più ripreso dalle restrizioni dovute al Covid e ha visto erodere sempre più i numeri degli esercizi che riescono a restare aperti

Sono quasi diecimila i negozi di abbigliamento caduti sotto la scure del binomio pandemia e inflazione. L’allarmante dato arriva da uno studio di Unioncamere che ha stimato in oltre 9mila le saracinesche abbassate dal 2019 al 2023, anno che non è ancora del tutto giunto a termine. Le vetrine rimaste illuminate, al 30 settembre di quest’anno, sono di poco sopra le 78mila unità.

La crisi del commercio – Cityrumors.it –

 

L’esplosione del commercio virtuale, grazie a enormi e potenti piattaforme di e-commerce, ha completamente ridisegnato usi, consumi e abitudini degli italiani, sempre più propensi a non muoversi neanche per andare a fare la spesa sotto casa. Non soltanto i semplici acquisti di beni di consumo anche voluttuari, ma anche l’enorme diffusione della consegna di cibi pronti a casa, di frutta e verdura e di qualsiasi altro genere di prima necessità che prima potevamo tranquillamente comprare dal nostro negoziante di fiducia e che oggi invece scegliamo di farci recapitare da un corriere espresso qualsiasi. 

L’agonia di un intero settore commerciale

Librerie, negozi di giocattoli, ferramenta, boutique di abbigliamento, sono le categorie commerciali al centro della grande falcidia dei negozi che ha avuto luogo negli ultimi anni. A cui si aggiungono altre migliaia di imprese di commercio ambulante che hanno cessato l’attività. Le restrizioni per la pandemia, i cambiamenti nelle abitudini di consumo e le fiammate inflazionistiche, con inevitabili rialzi dei prezzi al dettaglio, stanno mettendo a dura prova le attività commerciali in tutta Italia, tanto che negli ultimi cinque anni, ad esempio, il numero di negozi di abbigliamento è sceso di oltre 9mila unità, attestandosi al 30 settembre scorso leggermente al di sopra dei 78.000 esercizi commerciali. Secondo la fotografia scattata da un recente studio condotto da Unioncamere tra il 2019 e il 2023, il bilancio tra aperture e chiusure di attività nel commercio di articoli di abbigliamento in esercizi specializzati è quantificabile in una riduzione di quasi l’11% dei negozi.

La pandemia ha accelerato il cambiamento – Cityrumors.it

 

L’intervento del Governo

Un’emorragia di serrande abbassate che non possiamo non notare anche semplicemente passeggiando per le vie di ogni città italiana, tutta a favore della grande distribuzione focalizzata soprattutto nei mega centri commerciali che stanno ridisegnando la mappa dello shopping nelle città. La frenata ha inciso pesantemente sulle imprese individuali (il 53% del totale del comparto) che hanno fatto registrare una diminuzione superiore al 12% (-5.891 unità in termini assoluti), secondo una dinamica che riflette anche la forte crescita del commercio online, con sempre più italiani che fanno i loro acquisti sulle apposite piattaforme dedicate. Lo studio mette in evidenza come, anche a livello territoriale, l’immagine sia di una Italia con meno vetrine in tutte le venti regioni. Ad eccezione di Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige, dove si conta una variazione negativa in termini percentuale più contenuta, in tutte le altre regioni del Centro-Nord, a partire da Lazio, Marche, Toscane e Friuli Venezia Giulia si registrano perdite superiori al 10 per cento. Sulla questione è intervenuta proprio di recente la Premier Giorgia Meloni che ha lanciato un appello ai commercianti. Serve equilibrio tra commercio online e tradizionale. Penso all’avvento del commercio elettronico e delle grandi piattaforme online”, ha spiegato ancora la premier, “una innovazione che la pandemia ha contribuito ad accelerare in modo determinante e che se non è adeguatamente governato, può portare insieme a grandi opportunità anche enormi rischi. E’ un cambiamento che è ancora in atto, sul quale è necessario trovare un giusto equilibrio per fare in modo che il suo impatto sul nostro sistema economico e produttivo sia sostenibile”, e ha aggiunto però come nessun commercio elettronico o colosso del web potrà mai sostituire la funzione culturale e sociale che ricoprono commercianti, artigiani, esercizi di vicinato“.

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