Una riforma delicatissima, quella della separazione delle carriere. Quando i progressi di carriera, nella giustizia, si ispirano a logiche politiche.
Il 2025 potrebbe essere un anno cruciale per la giustizia italiana. Il Ministro della Giustizia Carlo Nordio ha recentemente proposto una legge di revisione costituzionale che ha scosso profondamente il panorama giuridico e politico del nostro paese. La proposta, che mira a separare le carriere tra giudici e pubblici ministeri, non è solo una riforma tecnica, ma un tentativo di affrontare uno dei temi più dibattuti e delicati della nostra giustizia: la commistione tra le funzioni di accusa e quelle di giudizio.
Separare le carriere, dunque, potrebbe essere un passo importante verso una giustizia più equa, ma è altrettanto importante che questo cambiamento venga accompagnato da una riflessione critica su come il sistema giuridico debba evolvere nel suo complesso. La fine della commistione tra giudici e pubblici ministeri è un tema fondamentale, ma non si può pensare che questa misura da sola risolva tutte le problematiche della giustizia italiana. Al contrario, essa rischia di distogliere l’attenzione dalle reali necessità di una riforma complessiva e profonda, che non si limiti a separare le carriere, ma che sappia affrontare le vere sfide della giustizia nel nostro paese.
Il progetto di Nordio si inserisce in un ampio contesto di riforme. Porre fine a quella che viene percepita come una “distorsione” del sistema giuridico italiano, dove giudici e pubblici ministeri, pur esercitando ruoli distinti, spesso condividono esperienze professionali, percorsi di carriera e, in qualche caso, la stessa visione interpretativa della legge. La separazione delle carriere è vista, dunque, come la chiave per un sistema più imparziale, dove i giudici non possano più essere “vicini” ai PM in un’ottica di carriera. Così si evitano conflitti di interesse e un’eccessiva simbiosi tra le due funzioni.
Nordio, ex magistrato e politico di lungo corso, ha sottolineato come questa riforma possa essere la risposta alla crescente sfiducia nei confronti della giustizia, una giustizia accusata di essere troppo influenzata dalla politica e, in alcuni casi, di non essere realmente imparziale. Separando le carriere, si eliminerebbero le possibili contaminazioni tra il giudizio e l’accusa, e si favorirebbe la tutela dei diritti di tutti.
La proposta di riforma si traduce in un cambiamento profondo nell’organizzazione della magistratura. Attualmente, la legge italiana consente ai magistrati di scegliere liberamente di passare dall’una all’altra delle due carriere, quella giudicante o quella requirente. Questa fluidità professionale ha portato a una certa commistione tra i due ruoli, con molti magistrati che, dopo aver svolto funzioni di pubblico ministero, si ritrovano a giudicare casi di cui accusatori.
La separazione delle carriere, dunque, significherebbe che chi intraprende la carriera di giudice non potrà mai diventare pubblico ministero e viceversa. Un tale cambiamento avrebbe sicuramente delle ripercussioni sia sulla formazione dei magistrati che sul loro lavoro quotidiano. Potrebbe anche portare a una specializzazione più marcata, con i giudici concentrati esclusivamente sulla funzione di decidere le controversie. Qui i pubblici ministeri focalizzati sulla ricerca delle prove e sulla conduzione delle indagini.
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