Marco Di Liddo del Centro Studi Internazionale (Ce.S.i) in esclusiva ai nostri microfoni sulle ultime vicende riguardanti la guerra in Israele
In Israele si continua a combattere senza sosta e la tregua ipotizzata nelle scorse settimane sembra essere molto lontana. La battaglia sul campo negli ultimi giorni si è spostata in Cisgiordania. Ma il rischio è che da un momento all’altro il conflitto possa degenerare e vedere il coinvolgimento di altri attori come Hezbollah e Teheran.
Noi di questo, ma anche del ruolo degli Stati Uniti in questo conflitto, ne abbiamo parlato in esclusiva con Marco Di Liddo, del Centro Studi Internazionale (Ce.S.i).
Dottor Di Liddo, ormai da tempo il campo di battaglia è diventata la Cisgiordania. Possiamo dire che la guerra si è allargata?
“Territorialmente sì, ma non rispetto a quelli che erano gli obiettivi dichiarati da Netanyahu il 7 ottobre. Era questione di tempo il coinvolgimento della Cisgiordania in maniera diretta. Quanto successo in questo giorni fa parte di un processo già annunciato. Formalmente per arrivare alla neutralizzazione di Hamas, che è riuscito magari ad avere dei sostenitori anche in Cisgiordania dopo gli attacchi brutali di Israele su Gaza, più sottotraccia il tentativo da parte di Hamas di risolvere la questione palestinese“.
Nei giorni scorsi abbiamo assistito anche a un botta e risposta tra Israele e Hezbollah. Episodio sporadico?
“Assolutamente no. Le tensioni nel Sud del Libano sono sempre state palpabili nel triangolo tra palestinesi, israeliani e iraniani (compreso i sostenitori di Teheran come Hezbollah). Quello che ci ha colpito è stata sicuramente la dimensione dell’attacco di Tel Aviv, ma le scaramucce vanno ormai avanti da tempo. Quindi non possiamo parlare di episodio sporadico e quasi sicuramente si ripeterà. Il vero punto di domanda è l’intensità: sarà sostenibile oppure deflagrerà come successo a Gaza e in Cisgiordania. Ricordiamo che una escalation con Hezbollah coinvolgerà anche l’Iran“.
A proposito di Iran. Le minacce a Israele dopo la morte del leader di Hamas sul loro territorio proseguono, ma la vendetta non è arrivata.
“Ancora non si è visto niente. Sicuramente Iran vuole tenere Israele e i suoi alleati sul massimo livello di allerta. Ma questa strategia ha un rischio importante per Teheran: la perdita totale di credibilità. Nei tempi ha utilizzato la certezza di attaccare e più passa il tempo e più diventa meno credibile. Inoltre possiamo dire che è una strategia molto pericolosa: da un lato si è messa nella condizione di dover attaccare, ma questo dovrà essere circoscritto per non dover fare i conti con una risposta massiccia. La dottrina israeliana prevede sempre reazioni sproporzionate“.
L’altra questione riguarda il comportamento degli Stati Uniti.
“Il problema è uno solo: gli Stati Uniti, a prescindere dal presidente, non possono essere indifferenti. Se l’Iran attacca e provoca danni importanti, la risposta ci deve essere altrimenti si perde credibilità in Medio Oriente. Poi c’è da affrontare il tema della campagna elettorale. Contenuti e tempistiche. Trump non ha mai nascosto la sua spinta anti-iraniana e filo-israeliana. Discorso diverso, invece, per i dem che devono cercare una linea compromissoria. Insomma un problema complicatissimo da risolvere“.
È reale il rischio di una guerra allargata in Israele?
“Assolutamente sì e diciamo che non va sottovalutato in nessuno modo. Attualmente ci sono dei fattori che sono riusciti a non far allargare il conflitto e parliamo sia della deterrenza americana che della consapevolezza da parte degli attori di dover fare i conti con una scommessa da impatti prevedibili. E l’esempio è il conflitto ucraino diventato ormai una lunga guerra di logoramento“.
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